Cosa succederebbe se tutti diventassimo vegan nel 2050?
Presentata l’anno scorso in occasione del Oxford Martin Programme sul futuro dell’alimentazione, la ricerca di Marco Springmann ha provocato un gran vociferare poiché lo studioso ha proposto, in maniera ponderata, una tassa sui prodotti animali. La proposta deriva dall’analisi globale dei costi derivati dai danni climatici per le emissioni di gas serra prodotti negli allevamenti.
Se dovessimo sostenere il costo dei danni arrecati all’ambiente, la carne bovina subirebbe un aumento dei prezzi, che arriverebbero a raggiungere ben il 40% in più e i prodotti caseari risulterebbero maggiorati del 20%, insieme a quelli delle altre carni. Secondo lo studioso, tale aumento dei prezzi provocherebbe un calo negli acquisti del 10%.
Se tutti diventassimo vegani, le emissioni di gas a effetto serra sarebbero ridotte di due terzi, si risparmierebbero ben 1,5 miliardi di dollari connessi alle spese sanitarie e ai danni climatici, riducendo quindi la mortalità globale del 10%.
Le emissioni di gas ad effetto serra sono generate dal metano che viene prodotto negli allevamenti (in particolar modo di bovini) e dall’aumento dei terreni adibiti ad agricoltura per la produzione di mangimi animali, deforestati per renderli fruibili allo scopo.
Queste potrebbero causare grossi problemi al pianeta, se si tiene conto dell’aumento della popolazione e delle pressioni dei paesi in via di sviluppo, che vorrebbero modificare la propria dieta rendendola sempre più simile a quella dei paesi sviluppati. Limitare il surriscaldamento globale per mantenerlo sotto la soglia minima dei 2 gradi Celsius (come stabilito dalla Cop21 nel 2015) sarà impossibile con questi presupposti. È necessario un cambiamento.
Verso un futuro vegan?
Dalla ricerca emerge che se tutti si attenessero alle raccomandazioni alimentari di base, si potrebbero risparmiare ben 5 milioni di vite. Una dieta vegetariana potrebbe risparmiare 7 milioni di vite, una dieta vegana avrebbe un impatto sulla mortalità ancora maggiore.
«Il fatto che la nostra ricerca abbia attirato l’attenzione dei media dimostra che le persone sono interessate a questo tipo di ricerca», afferma.«Le attitudini e le opinioni della popolazione sugli impatti che le nostre diete hanno sulla salute e sull’ambiente stanno cambiando».
Lo studioso non avrebbe mai immaginato, dieci anni prima, di diventare vegano, sebbene fosse informato sulle proprietà e i danni causati dai cibi. A favorire il passaggio ad una dieta a base vegetale è stato uno studio sui benefici della salute dati da un’alimentazione vegana, effettuato durante il suo dottorato di ricerca in Fisica negli Stati Uniti d’America. L’evidenza risultò abbastanza forte da convincerlo a fare il cambiamento:«Sono un ricercatore. Se mi dai alcuni buoni studi, cerco di cambiare il mio comportamento basandomi su di essi.»
Per lui non si tratta di una moda ma di una semplice dieta salutare, pratica ed economicamente accessibile a tutti.
Cosa fare per cambiare le abitudini alimentari della popolazione?
Secondo Springmann sarebbe opportuno offrire sempre delle opzioni vegegatli all’interno dei locali commerciali, questione tutt’altro che ovvia a Oxford, un semplice fattore che potrebbe facilitare il cambiamento anche di coloro i quali trovano come ostacolo la scarsa reperibilità di alimenti. Anche i supermercati potrebbero adoperarsi e i prezzi dei prodotti a base di carne e latticini dovrebbero riflettere i costi dell’impatto ambientale oggetto del suo studio.
«L’alimentazione a base di prodotti animali è sempre stata parte integrante della società, associata al potere e alla mascolinità», sostiene il ricercatore di Oxford. Gli uomini sono molto aggressivi quando si parla di veganismo, dovrebbero essere informati e istruiti in merito, con la rassicurazione sul fatto che «la loro mascolinità non verrà intaccata mangiando meno carne e più carote».