Cervello di gallina, porco, somaro: perché usiamo gli animali come insulti?
Il modo in cui vengono trattati gli animali negli allevamenti è terribile. Ciò dipende dal fatto che in molti casi non si ha alcuna considerazione per la loro vita, si pensa che non abbiano emozioni, che siano stupidi, che non abbiano coscienza di sé.
Queste convinzioni sono così radicate che anche il nostro linguaggio ne è completamente intriso. Avete mai pensato a quante volte usiamo gli animali per descrivere i comportamenti negativi delle persone? È un’abitudine così interiorizzata che nemmeno ce ne rendiamo conto.
Che maiale che sei, la tua camera è un porcile!
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Nonostante i pregiudizi lo indichino come un animale sporco, il maiale espleta i propri bisogni fisiologici lontano da dove dorme e da dove tiene i piccoli. Si immerge inoltre nel fango per sfuggire alla calura e per proteggersi da eventuali parassiti.
Cervello di gallina! Sei proprio un pollo! Che oca giuliva!
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La stupidità è sicuramente la caratteristica più attribuita agli uccelli, tanto che il numero di specie usate per insultare qualcuno mettendone in discussione le facoltà mentali sono moltissime. Le galline hanno sicuramente il primato; nonostante numerosi studi riconoscano che siano animali capaci di creare strutture sociali con gerarchie complesse, siano dotate di personalità distinte e capacità logiche, nel linguaggio comune rimangono sinonimo di intelletto carente.
Sei una capra! Che asino che sei!
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L’ignoranza è un altro archetipo legato al mondo animale. Basta pensare a Pinocchio per ricordarsi quale posto occupi l’asino nell’immaginario collettivo. Ma il somaro, così come la capra, hanno forse meno titoli di studio di altri animali per essere considerati ignoranti?
Che fifone, sei un coniglio!
I conigli sono animali considerati delicati e paurosi. D’altronde in natura hanno moltissimi predatori e le loro strategie di difesa sono principalmente la mimetizzazione e la corsa. La selezione naturale li ha resi infatti degli abilissimi corridori. Ciò non toglie che per difendere i propri cuccioli l’istinto non li porti necessariamente alla fuga, esattamente come per molti altri animali. Quanti di noi affronterebbero un serpente come ha fatto la coniglia di questo video?
Non fare la pecora, smettila di seguire il gregge!
E così, anche una saggia strategia di difesa contro i predatori, ovvero quella di non dividersi mai, viene trasformata in un insulto per indicare tutti coloro che seguono la massa senza ragionare con la propria testa. Il paradosso in questo caso è che anche il suo opposto, la pecora nera che si distingue dalle altre, viene usata nel linguaggio comune per offendere e indicare una persona deviata che non ha seguito la “retta via”.
Sei un pesce lesso! Che stoccafisso!
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L’inespressività facciale del pesce, così come il fatto che non emetta versi, ha probabilmente determinato la convinzione che non soffra e che non provi emozioni. Numerosi studi hanno provato che questo non è assolutamente vero e che, al contrario, i pesci e gli animali marini sono in grado per esempio di provare paura e dolore. Nonostante queste ricerche, associare qualcuno a un pesce vuol dire ancora dargli dell’ebete o del tonto.
Matto come un cavallo!

Ci sono varie spiegazioni all’origine dello stereotipo del cavallo pazzo, ma sembra che faccia riferimento al puledro che, quando non domato, scalcia e si imbizzarrisce per liberarsi da chi tenta di cavalcarlo. In una situazione del genere, qualsiasi animale – compreso l’essere umano – tenterebbe di fuggire.
Umanità
In mezzo a tutti questi pregiudizi, ce n’è uno che spicca per positività: quello per cui agire in modo umano voglia dire comportarsi virtuosamente, mostrando rispetto e gentilezza.
Volendo essere sinceri, proprio questo termine tra quelli fin qui elencati, è probabilmente il più sbagliato e impreciso. Sappiamo tutti che ogni giorno è proprio l’essere umano che contribuisce alla distruzione degli habitat naturali, all’inquinamento e a alla povertà di gran parte dei suoi simili.
Ammettiamolo: il nostro egocentrismo ci ha dato alla testa e i vocaboli che usiamo rispecchiano la superiorità che ci siamo auto attribuiti. Ciò che importa però sono i fatti. Con le nostre azioni di ogni giorno possiamo cambiare le cose e forse, quando lo avremo fatto, cambieranno anche le parole.
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